Cosa è il diritto alla bigenitorialità
Il diritto alla bigenitorialità è da considerarsi diritto fondamentale del minore, da tutelarsi anche d’ufficio. Tale concetto giuridico è entrato nel nostro ordinamento con la L. n. 54/2006, la quale interviene sulla disciplina dell’affido dei minori in sede di separazione e divorzio.
Con il recente intervento apportato dalla L. n. 219/2012 il regime ordinario di affidamento stabilito dal legislatore a tutela del diritto del minore alla bigenitorialità è quello condiviso cui può derogarsi in presenza di situazioni di incapacità genitoriale di uno o di entrambi i genitori o di situazioni di conflittualità tra i coniugi tali da alterare e porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli e, dunque, tali da pregiudicare la tutela del loro preminente interesse.
Anche se la coppia dei genitori entra in crisi e cessa la convivenza tra essi, non mutano i diritti e gli obblighi nei confronti dei figli. Infatti, rimane invariato il fondamentale obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole; obbligo che, del resto, già dall’entrata in vigore della Costituzione, non dipendeva dal concepimento, o dalla nascita, in costanza di matrimonio, ma si fondava sul fatto stesso della filiazione, come appunto stabilito, anzitutto, all’art. 30 Cost.
Inizialmente è intervenuta La L. 8 febbraio 2006, n. 54 (rubricata Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli) sulla disciplina dell’affido dei minori in sede di separazione ovvero divorzio istituendo appunto il concetto di c.d. “bigenitorialità”.
Successivamente, poi, l’intera materia è stata oggetto di nuove ulteriori modifiche e aggiustamenti con il D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che ha portato a compimento la riforma della filiazione e della parentela, avviata con la La legge delega 10 dicembre 2012, n. 219.
Il D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 ha abrogato gli artt. da 155 a 155-sexies c.c. e ha, poi, spostato con qualche modifica la disciplina ivi prevista nel nuovo disposto dell’337-ter c.c.
Ne deriva che oggi la norma faro, che deve orientare l’operato dei giudici nei casi di conflittualità elevata è l’art. 337 ter c.c.
Nell’ interesse superiore del minore, va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione.
Per garantire il rispetto della vita familiare di cui all’art. 8 della CEDU, l’autorità giudiziaria deve osservare un rigoroso controllo sulle c.d. “restrizioni supplementari”, tali intendendo quelle apportate al diritto di visita dei genitori, che comportano il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età e uno dei genitori o entrambi, pregiudicando il preminente interesse del minore, come stabilito dalla Corte EDU, 9 febbraio 2017, Solarino c. Italia (Cass. civ, sez. I, 8 aprile 2019, n. 9764).
Cosa dice e come viene applicato dai nostri Tribunali l’art 337 ter c.c.
Dice l’art 337 ter c.c. che “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
Aggiunge che per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli.
La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori e le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono prese di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
Ciò premesso la giurisprudenza ha interpretato la bigenitorialità in tema di affidamento dei figli stabilendo di valutare prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi genitori e che questa sia la regola generale. Pertanto, il diritto alla bigenitorialità è considerato un vero e proprio diritto del bambino, da tutelare e garantire come tale, anche d’ufficio.
L’affidamento condiviso rappresenta la tipologia preferenziale di affidamento della prole, suscettibile di essere derogata unicamente nelle ipotesi in cui esso risulti contrario all’ interesse del minore.
Cosa deve intendersi per capacità genitoriale?
Tra i requisiti di idoneità genitoriale ai fini dell’affidamento o collocamento della prole rientra anche la capacità di garantire al figlio, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull’altro genitore, la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della fitta rete di relazioni familiari con i parenti di entrambi i rami genitoriali.
Detto requisito deve tradursi nella fissazione di un calendario di visita idoneo a consentire la frequentazione tra genitore e figlio, al fine di appianare le divergenze e mantenere il rapporto parentale.
Cosa è la maternal preference?
Secondo questo principio non scritto (nella letteratura di settore: Maternal Preference in Child Custody Decisions) il minore è da ritenere bisognoso della presenza materna, considerata apportatrice di quella carica affettiva speciale, capace di trasmettere sostegno, senso di protezione e sicurezza, soprattutto nei primi anni di vita, da considerare come elemento insostituibile per garantire il corretto e armonico sviluppo psicofisico del bambino.
Tale criterio alla luce del quale orientare la scelta di vita del minore, si contrappone ovviamente al principio di bigenitorialità (c.d. anche “gender neutral child custody laws) ossia quella normativa incentrate sul criterio della neutralità del genitore affidatario, potendo dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore e non potendo essere il solo genere a determinare una preferenza per l’uno o l’altro ramo genitoriale.
In altre parole come più volte sancito anche dalla Suprema corte il criterio guida è sempre il superiore interesse del minore.
Il regime di affidamento stabilito dal legislatore a tutela del diritto del minore alla c.d. bigenitorialità è quello condiviso, cui può derogarsi solo in presenza di situazioni di incapacità genitoriale di uno o di entrambi i genitori o di situazioni di conflittualità tra i coniugi tali da alterare e porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse (Cass., sez. I, 29 marzo 2012, n. 5108; Cass., sez. I, 18 giugno 2008, n. 16593).
Non possono, quindi trovare accoglimento le domande di affido esclusivo dove non vi siano elementi per ritenere contrario all’interesse del minore l’affido condiviso o un genitore più capace a tutelare l’ interesse dei figli dell’altro. Cosi anche l’atteggiamento di ostilità reciproca e la tendenza a screditare l’altro non consentono in alcun modo di assicurare che il genitore cui fossero affidati i figli sarebbe in grado di tutelare l’altra figura genitoriale e il rapporto dei figli con il genitore non affidatario.
E se uno dei due genitori risiede all’estero o in genere fuori dal comune o dalla regione di residenza del minore?
Anche nel caso di un genitore residente all’estero, l’affidamento condiviso dei figli a entrambi i genitori è la regola da seguire, a meno che non sussistano circostanze talmente gravi che possano mettere in pericolo il benessere e lo sviluppo psico fisico del minore (Cass. civ., sez. I 6 marzo 2019, n. 6535).
D’altra parte il trasferimento del minore in uno Stato diverso dalla sua residenza abituale determina l’applicazione della Convenzione dell’Aja 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori ovvero del Reg. (CE) 27 novembre 2003, n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale sostituito a partire dal 1° agosto 2022 dal Regolamento UE n. 2019/1111 del Consiglio del 25 giugno 2019.
Secondo il predetto regolamento e la nuova disciplina normativa, l’autorità competente del luogo ove il minore sia stato trasferito debba, ricorrendone i presupposti, ordinare il rimpatrio immediato del minore che sia stato illegittimamente allontanato dalla sua residenza abituale.
Quando il trasferimento è illegittimo?
Esso è illegittimo: 1) se è avvenuto contro la volontà del genitore o dell’ente titolare della responsabilità genitoriale sul minore (e dunque affidatario o coaffidatario); 2) e se detto diritto fosse effettivamente esercitato al momento del trasferimento.
La domanda di rimpatrio, da presentarsi entro un anno dall’ illecito trasferimento, può essere disattesa solo laddove si dimostri che il ritorno arrecherebbe al minore un grave pregiudizio. All’oggetto del procedimento attivato ai sensi della Convenzione o del Regolamento è estranea qualsivoglia questione relativa al merito dell’affidamento. Essa potrà essere sottoposta al giudice territorialmente competente una volta ripristinata, ai sensi della Convenzione o del Regolamento, la situazione di fatto illegittimamente mutata e cioè attuato il rimpatrio.
Chi è il genitore collocatario?
L’affidamento condiviso non comporta né una convivenza della prole con entrambi i genitori, né una condivisione paritaria dei tempi trascorsi da ciascun genitore con i figli: esso di contro, indipendentemente dalla spartizione tra i genitori dei tempi di frequentazione con il figlio, mira alla maggiore responsabilizzazione di entrambi i genitori nell’allevare la prole, secondo una linea educativa condivisa, nell’obiettivo comune di favorire la sua crescita psico-fisica .
Per genitore collocatario, invece, nozione non contenuta in alcuna norma giuridica ma di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, deve intendersi il genitore presso il quale il minore vive stabilente, quello presso il quale il minore svolge la parte prevalente delle sue giornate, quale punto di maggiore riferimento dal punto di vista relazionale con le cose che gli appartengono.
Da questo punto di vista le modalità di frequentazione del minore con i genitori devono garantire a quest’ultimo la conservazione di rapporti significativi anche con il genitore non collocatario.